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Francesco Florenzano | Danilo Dolci e l’educazione permanente degli adulti.

INTERVENTO AL CONVEGNO Danilo Dolci e Pio La Torre a confronto. La memoria, l’eredità, il futuro
Martedì 27 maggio 2025, ore 10:00-13:00
Sala degli Atti parlamentari
Biblioteca del Senato Giovanni Spadolini
Piazza della Minerva, 38 – Roma

Questo mio intervento nasce dal bisogno – oggi più che mai attuale – di riscoprire l’opera e il pensiero di Danilo Dolci come fondamento vivo dell’educazione permanente degli adulti.
Dolci non fu soltanto un poeta, un sociologo, un attivista, ma un autentico educatore nel senso più profondo del termine: un uomo che ha saputo trasformare il bisogno in parola, la parola in azione, l’azione in apprendimento condiviso.

In un tempo in cui l’educazione rischia di ridursi a mera formazione tecnica, Dolci ci ricorda che ciascuno cresce solo se sognato, e che la crescita non avviene in solitudine, ma nella relazione, nella lotta per la giustizia, nella costruzione di comunità solidali.

A partire dalle esperienze di Trappeto e Partinico, e passando per l’invenzione della maieutica reciproca, la sua visione educativa ha anticipato molte delle istanze che oggi chiamiamo educazione non formale, apprendimento lungo l’arco della vita, partecipazione civica.

Ricordo la celeberrima poesia di Danilo Dolci che si trova nella raccolta Poesia diversa del 1974:

«C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato».

Inizio così perché nel breve tempo di un convegno occorre centrare il punto, dimostrare con efficacia una tesi, che nel caso di Danilo Dolci è l’assunto che sognare un mondo migliore mobilita energie sopite, momenti di consapevolezza, utopie straordinarie anche se punti di arrivo per poche persone.


Gli anni di Trappeto (1952-55) e Partinico (1955-79) sono testimoni di un contesto segnato da povertà reale, analfabetismo e presenza mafiosa. Diciamo subito che Danilo Dolci non insegnava come si faceva a scuola. La sua era un’altra faccia della scuola perché sapeva mettersi nei panni di quella gente partendo dai bisogni concreti, dal desiderio di cambiamento, dalla parola condivisa.

Approfitto di questo convegno per proporre una riflessione su come la sua visione pedagogica abbia anticipato molte delle pratiche e dei valori dell’educazione degli adulti, specialmente sui temi della partecipazione, dell’apprendimento permanente, della giustizia sociale. Ricordo che negli stessi anni si concretizzarono in Italia 2 progetti di educazione degli adulti: il primo concepito prevalentemente da Anna Lorenzetto che nel 1947 fonda l’UNLA (Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo) che con il concetto di “alfabeto maggiore” introdusse la consapevolezza civica e la partecipazione attiva alla vita sociale; il secondo, grande fenomeno mediatico condotto dal maestro Alberto Manzi con la trasmissione RAI “Non è mai troppo tardi” (andata in onda dal 1960 al 1968). Entrambe queste esperienze uscivano dalla pedagogia tradizionale esattamente come l’opera di Danilo Dolci.

Infatti, Danilo Dolci non credeva nell’insegnamento tradizionale, trasmissivo, fatto di nozioni imposte dall’alto. Il suo metodo, che chiamava maieutica reciproca, si fondava sul dialogo tra pari, sull’ascolto attivo, sulla costruzione collettiva del sapere. Non c’è maestro senza allievi, ma nemmeno allievi senza maestro: tutti sono in ascolto gli uni degli altri. In questo senso, l’educatore è un facilitatore, non un detentore del sapere. Oggi tutti concordiamo con questa definizione, vero pilastro dell’educazione degli adulti ma allora non era così.

Danilo Dolci inizia il suo lavoro a Trappeto con i bambini dei quartieri più poveri ma presto si interessa degli adulti, mettendo al centro dell’attenzione anche il suo stesso corpo (il primo sciopero della fame per denunciare la miseria e l’assenza dello Stato fu del 1952!).

Organizzò così incontri e discussioni con adulti, donne, disoccupati, contadini. Non per “insegnare”, ma per porre domande, raccogliere esperienze, stimolare la riflessione collettiva. Un approccio simile a quello di Paulo Freire (1921-1997) che negli stessi anni concepisce la pedagogia degli oppressi in Brasile. E al pari di Freire, Danilo Dolci sosteneva nel suo libro “L’educazione” che “Sapere inventare con gli altri il proprio futuro è una delle maggiori riserve di energia rivoluzionaria di cui il mondo possa disporre.

In questo modo l’educazione e la trasformazione sociale coincidono. Non c’è vera educazione se non si agisce insieme per cambiare la realtà. L’educazione non sta nei libri o nelle aule, ma nella vita quotidiana, nella strada da asfaltare, nella disoccupazione da combattere, nella cooperativa da fondare. Come non ricordare allora lo sciopero alla rovescia: disoccupati che andavano a lavorare gratuitamente per costruire strade, scuole, opere pubbliche, proprio per denunciare l’assenza dello Stato e mostrare che il cambiamento è possibile. Danilo Dolci trasformava queste azioni in momenti educativi. Ogni gesto era riflettuto, discusso, trasformato in apprendimento collettivo. Potremmo riassumere con un motto questa filosofia: “Chi partecipa si educa. Chi cambia il mondo si forma”.

Ne sono un esempio straordinario i “Racconti siciliani”, scritti con la voce dei poveri, dei riscattati, dei ribelli. Storie autobiografiche che ricordano Rocco Scotellaro dei Contadini del Sud. Diseredati, vittime di ingiustizie, attivisti politici e sindacalisti in erba, gente che lottava per un tozzo di pane, per contrastare l’arroganza dei feudatari, che nonostante l’avvento della Repubblica, angariavano i contadini con la complicità delle forze dell’ordine, le quali ammonivano e a volte torturavano chi reclamava un po’ di giustizia. La tecnica autobiografica dei Racconti siciliani di Danilo Dolci è la stessa che ora si baratta come la novità della nuova stagione dell’apprendimento permanente. Solo che ora si trascrivono storie di vita con un fare, spesso, esaltatorio del protagonista, in linea con lo sfrenato narcisismo e individualismo del XXI secolo. Mentre le biografie e autobiografie di Danilo Dolci come in Rocco Scotellaro rappresentano la messa a punto di una realtà vissuta da una moltitudine di persone, oppresse nonché emarginate, bassa manovalanza di un mondo misero e ingiusto. Ogni racconto è una presa di coscienza, un invito alla lotta e al cambiamento, una ricerca di una giustizia che spesso non arriva e che segna il destino delle classi lavoratrici.

L’opera di Danilo Dolci, il suo metodo, la sua empatia, ci suggerisce ancora una volta e con forza che l’educazione degli adulti non può limitarsi all’alfabetizzazione, ma deve sviluppare coscienza critica, consapevolezza, cittadinanza attiva. Egli ha anticipato l’educazione permanente, il valore dei saperi informali, l’idea che si apprende lungo tutto l’arco della vita.

Ecco perché dobbiamo considerare tutta l’opera di Danilo Dolci come fondamentale ai processi di educazione permanente in quanto non è una semplice teoria pedagogica ma è una pratica di emancipazione profonda, capace di dare forza ed organizzazione alle strutture che la facilitano. Infatti, Danilo Dolci non ha solo scritto e teorizzato: ha costruito luoghi, parole, metodi, ha fatto dell’educazione un atto politico, nonviolento, generativo. La sua eredità è più attuale che mai per chi si occupa oggi di educazione degli adulti, nei centri territoriali, nelle università popolari, nei percorsi civici e professionali. Basta leggere le pagine di Banditi a Partinico per rendersi conto che l’educazione avviene fuori dalle aule, nei gesti quotidiani, nell’impegno civile e politico, così come ha dimostrato don Lorenzo Milani con la famosa scuola di Barbiana. Come annotava Gianni Rodari, citato da Giuseppe Barone in appendice de I racconti siciliani, «Tre sono, per lui, i fondamenti di un “nuovo educatore”: anzitutto, il rifiuto della formalizzazione. Poi, la constatazione che si sa veramente solo quando si scopre e si riscopre». Una visione che si sposa perfettamente con la pedagogia dolciana, in cui l’educazione nasce non dalla trasmissione, ma dall’esperienza condivisa.

Danilo Dolci ci invita a sognare e in pari tempo ad esercitarci, senza sosta, senza limiti, esattamente come è e dev’essere l’educazione permanete degli adulti: non una scuola bensì una pratica quotidiana, un crescendo di impegno e di consapevolezza di quel che si è e di quel che può dare agli altri, alla comunità.

Una sua poesia pubblicata nel 1970 nella raccolta Il limone lunare pubblicata da Laterza ci indica una strada per crescere come persona. I primi versi sono:

Se l’occhio non si esercita, non vede
se la pelle non tocca, non sa
se l’uomo non immagina, si spegne.

Possiamo così concludere sintetizzando con le sue stesse parole:

Ciascuno cresce solo se sognato.

Oggi, mentre crescono le sfide contro l’analfabetismo funzionale, delle disuguaglianze educative e della disgregazione sociale, il metodo di Danilo Dolci ci appare più che mai necessario: un’educazione che non forma solo competenze, ma anche coscienza, relazioni, futuro condiviso. L’eredità pedagogica di Danilo Dolci si può riassumere con tre parole: Coscienza, Comunità, Giustizia e può essere annoverato tra i padri dell’educazione degli adulti in Italia e nel mondo. Infatti, Piero Calamandrei nel celeberrimo discorso in difesa dell’art. 4 della Costituzione afferma “Danilo non è un benpensante, non segue la rassegnata e soddisfatta voce del buonsenso.” “Ha voluto vivere la loro vita, soffrire la loro fame, dividere il loro giaciglio, scendere nella loro forzata abiezione per aiutarli a ritrovare e a reclamare la loro dignità e la loro redenzione.”

Esattamente come dovrebbe essere un educatore degli adulti: inclusivo, empatico, paritario, assetato di sapere e di condividere, un maestro che sa che può ancora imparare tanto dai suoi allievi!


Grazie.

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